ADEMPIMENTO E INADEMPIMENTO DELLE OBBLIGAZIONI

Abbiamo visto in un altro articolo come nascono le obbligazioni e quali ne sono le fonti. https://www.studiolegaleborghesi.com/2020/01/18/le-obbligazioni-e-le-loro-fonti/

In questo articolo, invece, tratteremo i temi dell’adempimento e dell’inadempimento delle obbligazioni.

Tutti noi,  in momenti alterni della nostra vita quotidiana, siamo debitori e/o creditori: abbiamo diritto all’adempimento di obbligazioni da parte di qualcuno, siamo obbligati a fare/dare qualcosa a qualcun altro.

E’ di fondamentale importanza – tanto nella vita lavorativa quanto in quella privata – conoscere i concetti di adempimento e inadempimento, qual’è il perimetro di questi concetti, quando, come e perché un’obbligazione è considerata adempiuta o inadempiunta.

Dunque, che tu sia un imprenditore, un professionista o semplicemente una persona che vive nel mondo e visto che in ogni istante i concetti di obbligazione, adempimento e inadempimento pervadono la nostra esistenza, devi padroneggiare questo concetto per non esserne “vittima”.

Ma veniamo al dunque.

L’adempimento è il modo di estinzione tipico delle obbligazioni e consiste nella esatta esecuzione dell’obbligazione, ragion per cui vengono meno sia la pretesa del creditore sia l’obbligo del debitore.

Numerosi articoli del codice civile (art. 1176 s.s.) disciplinano le regole da seguire per un corretto adempimento. Secondo l’articolo 1176, nell’adempiere il debitore deve usare la diligenza del buon padre famiglia, ovvero l’impegno nel soddisfacimento dell’interesse del creditore, tipica dell’uomo ‘medio’, il buon padre di famiglia appunto, quell’uomo considerato di alto rigore, lealtà, onestà, impegno, determinazione, cura e dedizione per la famiglia, che va valutata in relazione alla specifica obbligazione che il debitore deve eseguire.

Il buon padre di famiglia può definirsi, dunque, come un canone di riferimento oggettivo, avente funzione di misurazione della qualità del comportamento dell’uomo medio nell’ambito dei rapporti di natura contrattuale o di altra differente natura.

Detto concetto è evidentemente di contenuto indeterminato, e affidato nella sua interpretazione alla prudente valutazione del giudice, il quale, sulla base delle consuetudini, dei costumi e delle interpretazioni giurisprudenziali esistenti, valuta caso per caso quali sono i comportamenti richiamati da questo concetto.

Analizziamo ora alcuni comportamenti prescritti dal codice e finalizzati ad un corretto adempimento delle obbligazioni nascenti da contratto.

L’obbligazione, secondo l’art. 1180, può essere adempiuta anche da un terzo, se l’altra parte non ha interesse a ricevere la prestazione dalla parte personalmente (come nel caso di prestazioni non professionali o che non richiedono particolari doti tecniche).

La parte creditrice può sempre rifiutare un adempimento parziale delle obbligazioni previste nel contratto. Inoltre, il debitore non può mai liberarsi dal suo obbligo eseguendo una prestazione diversa da quella prevista nel contratto, a meno che il creditore non dia il suo consenso.

Solitamente il luogo in cui le parti devono adempiere alla prestazione è stabilito dal contratto. Nel caso contrario si seguono questi principi (art. 1182):

– l’obbligazione di consegnare una cosa determinata si adempie nel luogo in cui la cosa si trova;

– l’obbligazione di pagare una somma di denaro si adempie presso il domicilio del creditore;

– in tutti gli altri casi la prestazione va adempiuta presso il domicilio del debitore.

Normalmente per l’adempimento degli obblighi derivanti dal contratto è fissato un termine, che si presume sempre a favore del debitore. Questo vuol dire che il creditore non può mai pretendere la prestazione prima della scadenza del termine, mentre il debitore può eseguirla prima.

La prestazione o il pagamento deve essere fatta al debitore o ad un suo rappresentante o autorizzato, altrimenti il debitore non è liberato dal suo onere, a meno che il creditore non accetti la prestazione eseguita, o che la stessa vada comunque a suo beneficio (art. 1184,1185).

Dunque l’adempimento dell’obbligazione è esatto quando sono rispettati i seguenti parametri:

– chi deve eseguire l’obbligazione

– nei confronti di chi

– dove

– quando

– come

– per intero.

Facciamo qualche esempio: se do la quantità di denaro a cui sono obbligato alla persona giusta, nel luogo giusto ma nel termine sbagliato, il mio adempimento non è esatto; se pago nei confronti della persona sbagliata il mio adempimento non è esatto. Per essere esatto l’adempimento deve rispettare tutti i parametri sopra elencati.

 

L’inadempimento è invece la mancata, ritardata o inesatta esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto da parte di uno di due contraenti. Ad esempio, nel contratto di vendita, inadempiente è il compratore se non paga il prezzo pattuito (o paga in ritardo), o il venditore se non consegna la cosa venduta al compratore.

 

Abbiamo visto che la conseguenza dell’adempimento è l’estinzione delle obbligazioni. Ma quali sono le conseguenze dell’inadempimento?

Chi è inadempiente deve sempre risarcire il danno subito dall’altra parte, a meno che non provi che l’inadempimento è dovuto ad impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Con tale previsione si intende i casi di forza maggiore o caso fortuito, cioè quando è oggettivamente impossibile per una parte adempiere al contratto per cause estranee alla sua volontà (ad esempio, un terremoto o un incidente che distrugga la cosa da consegnare).

Il risarcimento del danno deve comprendere sia la perdita immediata subita dal creditore, sia il mancato guadagno (cioè la perdita dell’aspettativa di profitto).

IL CONTRATTO

Tra le varie fonti delle obbligazioni, quella che occupa buona parte di interesse tra gli imprenditori è sicuramente il contratto.

Tutti in linea di massima sappiamo cos’è un contratto. Ne sentiamo parlare ogni giorno. Certo lo sappiamo in linea di massima esatto. Ma se sei un imprenditore, un professionista o hai a che fare con i contratti nella tua vita quotidiana per qualsiasi altro motivo, se vuoi padroneggiare questo strumento per poterlo utilizzare a tuo vantaggio e non semplicemente “subirne” passivamente gli effetti, devi conoscerlo almeno un pò di più che “in linea di massimo”

Analizziamolo per comprendere meglio di cosa stiamo parlando e come funziona.

L’articolo 1321 del codice civile definisce il contratto come: “l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale”. Si tratta quindi di:

  • un accordo: cioè l’incontro delle volontà delle parti;
  • tra due o più parti: non esistendo contratto con una sola parte, ma essendo necessaria la presenza di almeno due soggetti;
  • per costituire, regolare o estinguere tra loro: questo è l’oggetto giuridico del contratto, quello che le parti stabiliscono in ordine al loro rapporto;
  • patrimoniale: i contratti hanno esclusivamente ad oggetto rapporti giuridici suscettibili di valutazione economica; non sono contratti, quindi, quei negozi dove manca o non è essenziale l’elemento della patrimonialità, come il matrimonio.

Il Codice civile (art. 1325), prevede che il contratto debba avere alcuni requisiti indispensabili ovvero:

  • l’accordo delle parti: al quale abbiamo già accennato e che costituisce un elemento caratterizzante ed ineliminabile di qualsiasi tipo di contratto; si tratta, però, della volontà obbiettiva che da questo emerge e non quella interna delle singole parti, di solito insondabile, poiché è necessario tutelare l’affidamento che l’altro contrente fa circa quanto dichiarato in sede di accordo.

 

  • la causa: la ragione pratica del contratto, cioè l’interesse che le parti vogliono soddisfare attraverso l’operazione contrattuale; a tal proposito occorre precisare che, in caso di controversia al riguardo, fondamentale è “quale sia stata la comune intenzione delle parti e non limitarsi al senso comune delle parole (art. 1362 c.c.). In tal modo è possibile riconoscere il tipo di contratto effettivamente desiderato e che, per errore, potrebbe essere ben diverso da quello che in effetti appare. E’ importante che la causa sia sempre presente e non sia irrilevante o illecita, altrimenti il contratto è nullo, proprio perché la sua funzione è viziata.

 

  • l’oggetto: è il bene su cui incidono gli effetti del contratto. L’art 1346 c.c. prevede che debba essere:

–  possibile

lecito

determinato

o determinabile.

La possibilità dell’oggetto va intesa sia in senso materiale, per cui sussisterà quando nella realtà fisica la cosa già esiste o può venire ad esistenza, sia in senso giuridico per cui, ad esempio, il contratto sottoposto a termine può ritenersi valido solo se la prestazione inizialmente impossibile diventi possibile prima della scadenza del termine.

Quanto alla liceità, invece, essa deve essere riferita alla prestazione e manca quando il bene non può, in base alla legge vigente, all’ordine pubblico o al buon costume far parte dello specifico contratto oppure non può essere commercializzato.

Infine, l’oggetto del contratto deve essere determinato, quindi indicato con assoluta precisione o comunque chiaramente desumibile dalla volontà delle parti, ovvero determinabile se i criteri di individuazione della sua qualità o quantità sono enunciati nel contratto stesso o sono altrimenti ricavabili.

 

  • la forma: è il modo in cui si manifesta la volontà negoziale.  Salvo diversa previsione, vige il principio della libertà della forma, per cui un negozio (per negozio si intende il vincolo contrattuale che nasce) potrà nascere validamente con una forma puramente orale, oppure attraverso dei gesti, come di solito avviene durante le aste, o, ancora, attraverso fatti concludenti, cioè attraverso comportamenti che fanno intendere in modo inequivocabile la volontà di porre in essere negozio giuridico, come nel caso dell’erede che accetta tacitamente l’eredità (articolo 476 c.c.).  In alcuni casi la legge richiede una determinata forma per la validità del negozio giuridico.

 

L’articolo 1350 c.c. elenca i casi in cui la forma scritta è richiesta per i contratti a pena di nullità come, ad esempio, i contratti riguardanti i beni immobili. Qui la forma è richiesta per la validità stessa del negozio giuridico e non è possibile usare una forma diversa o sanare il negozio attraverso la sua esecuzione.

Diverso è il caso in cui la forma sia necessaria solo per provare l’esistenza del contratto. In questa seconda ipotesi in mancanza di tale requisito il contratto resta perfettamente valido ed efficace, ma sarà solo più difficile dimostrarne l’esistenza.

 

EFFETTI DEL CONTRATTO TRA LE PARTI E NEI CONFRONTI DEI TERZI

Ma cosa succede quando si sottoscrive un contratto? Quali effetti produce? Quali sono le sue conseguenze?

Ebbene, il contratto produce: effetti tra le parti ed effetti nei confronti di terzi.

Inoltre, nel rapporto tra i contraenti troviamo effetti reali ed effetti obbligatori.

Gli effetti reali sono costituiti dal trasferimento della proprietà o di altri diritti sulle cose.

Gli effetti reali sorgono da quei contratti, come ad esempio il contratto di compravendita, che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di un determinato bene o altri diritti.

Infatti esistono contratti che non provocano il trasferimento di diritti sulle cose da una persona all’altra ma solo la nascita di obbligazioni da un soggetto all’altro, come ad esempio il contratto di locazione: non viene trasferita la proprietà dell’immobile oggetto di locazione ma nascono solo obblighi e diritti fra il proprietario dell’immobile e chi lo prende in locazione.

Ma che forza ha il contratto fra le parti che lo hanno sottoscritto? A questa domanda risponde l’art. 1372 del codice civile stabilendo che “il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge”.

Ciò sta a significare che fra le parti e che lo hanno sottoscritto quell’accordo ha la stessa potenza di una legge e in eguale intensità le parti sono tenute a rispettarlo a meno che non decidano, di comune accordo o nei casi previsti dalla normativa in materia, di sciogliere il vincolo contrattuale. Per fare questo occorre però che il contratto non abbia ancora avuto esecuzione, a meno che non sia un contratto di durata e lo scioglimento non produca effetti sulle prestazioni già eseguite.

In deroga a quanto previsto dall’articolo citato in precedenza, l’art. 1373 consente che le parti possano per espressa previsione legislativa o mediante clausola espressa, pattuire la possibilità di recedere unilateralmente dal contratto. Questa ipotesi si utilizza solitamente nei contratti di durata, nei quali l’esecuzione si protrae nel tempo, nonché nei contratti stipulati dai consumatori al di fuori dei locali commerciali dell’imprenditore o a distanza. Le parti possono stabilire che il diritto di recesso possa essere esercitato in cambio di una prestazione, di solito consistente nel versamento di una somma di denaro, o dietro la corresponsione di una caparra.

E nei confronti dei terzi che forza ha il contratto?

Per quanto riguarda i soggetti terzi rispetto alle parti, il contratto di regola non produce effetti nei loro confronti ed essi si trovano in una posizione “neutra”, nel senso che non possono subire interferenze nella loro sfera giuridica dall’attività negoziale. Questo è noto come “principio di relatività degli effetti del contratto”.

A ben guardare, tuttavia, la mancata produzione di effetti non comporta automaticamente la mancanza di conseguenze in capo a questi ultimi. Un esempio efficace è il contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.), in cui una parte si obbliga nei confronti dell’altra ad eseguire una prestazione a favore di un terzo, detto beneficiario, che non è né parte del contratto né parte del rapporto ma solo il soggetto nei confronti del quale si deve eseguire la prestazione.

CHE COSA SONO LE OBBLIGAZIONI

Tra i fondamentali di tutto il diritto civile e commerciale c’è un concetto: quello di “obbligazione”.

Ma cosa si intende in campo giuridico per obbligazione?

L’obbligazione è un vincolo giuridico in virtù del quale un soggetto chiamato debitore è tenuto ad effettuare una determinata prestazione verso un altro soggetto chiamato creditore, che ha il diritto di pretenderla ed in caso questa prestazione non venga eseguita spontaneamente dal debitore, il creditore può ricorrere ad un giudice.

Gli elementi delle obbligazioni sono:

  • i soggetti: il creditore ovvero il soggetto attivo del rapporto, colui che può pretendere l’esecuzione della prestazione; il debitore o soggetto passivo del rapporto ossia colui che è tenuto ad eseguire la prestazione;
  • la prestazione: è il comportamento del debitore e deve avere alcune caratteristiche specifiche ossia essere possibile, lecita, determinata o determinabile e avere carattere patrimoniale, ossia quantificabile in denaro;
  • il vincolo giuridico: è l’obbligo del debitore ed corrispondente diritto del creditore

 

DA COSA NASCONO LE OBBLIGAZIONI: FONTI DELLE OBBLIGAZIONI

Una volta capito cosa sono le obbligazioni bisogna capire da dove questi diritti ed obblighi nascono, e quindi, in buona sostanza, quali sono le “fonti delle obbligazioni”.

In base all’art. 1173 del codice civile sono fonti delle obbligazioni:

  • I contratti: sono le tipiche fonti delle obbligazioni. Con essi le parti si impegnano volontariamente ad eseguire delle prestazioni, come ad esempio il pagamento di un prezzo a fronte dell’acquisto di un bene.
  • La volontà unilaterale delle parti: è il caso delle promesse unilaterali previste dall’articolo 1987 c.c. e ss. come ad esempio la promessa di pagamento o la ricognizione di debito.
  • Il fatto illecito: in questo caso manca l’elemento dell’accordo tra i soggetti dell’obbligazione, anzi c’è almeno un soggetto, chiamato “danneggiato” che subisce il fatto da cui sorge l’obbligazione. In sostanza una persona commette un atto illecito, doloso o colposo che sia, che cagiona ad altri un danno ingiusto.
    In questi casi sul danneggiante sorge l’obbligazione di risarcire il danno e, corrispondentemente, il diritto del danneggiato di ottenere il risarcimento del danno.
  • Ogni altro fatto diverso dai precedenti, idoneo a produrle: si tratta di ipotesi residuali diverse dalle precedenti che i fondano su norme di legge, come la gestione di affari altrui o l’arricchimento senza causa.

Capire che cosa sono le obbligazioni e da cosa prendono vita consente di capire un fondamentale meccanismo previsto dal diritto privato.

Questo meccanismo sta alla base di tutto il sistema contrattuale ed extracontrattuale e quindi consente di capire approfonditamente sia la disciplina dei contratti che tutti i meccanismi che riguardano il sistema dei risarcimenti, dell’adempimento e dell’inadempimento, della risoluzione e tutte le altre cause di scioglimento dei contratti.

Tratteremo questi temi nei prossimi articoli del blog.

In questo articolo passiamo in rassegna le diverse tipologie di Società di capitali (art. 2325 e seguenti del c.c.):

la Società a responsabilità limitata

la Società per azioni

la Società in accomandita per azioni.

Un tempo soleva dirsi in diritto commerciale che le Società di capitali fossero forme giuridiche assunte da imprese di medie e grandi dimensioni operanti nei diversi settori produttivi. In realtà oggi le società di capitali, specialmente la società a responsabilità limitata (S.r.l.) viene utilizzata anche nella gestione di attività di impresa di piccole dimensioni. Sono definite “società di capitali” perché in esse l’elemento del capitale è prevalente da un punto di vista concettuale e normativo rispetto all’elemento soggettivo dai soci.

La partecipazione dei soci al capitale sociale può essere rappresentata da azioni o da quote a seconda dello specifico tipo di società.

Le caratteristiche principali delle società di capitali sono:

  • personalità giuridicae autonomia patrimoniale perfetta (la società risponde soltanto con il suo patrimonio). Fanno eccezione le Società in accomandita per azioni, dove i soci accomandanti sono obbligati soltanto nei limiti della quota del capitale sociale sottoscritta, mentre i soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente.
  • responsabilità limitatadei soci per le obbligazioni sociali: i soci rispondono per le obbligazioni assunte dalla società nei limiti delle azioni o quote sottoscritte; in caso di insolvenza della società i creditori non possono rivalersi sul patrimonio personale dei singoli soci. Un’eccezione a questo principio si verifica quando il socio firma delle fideiussioni a garanzia di prestiti alla società: in quel caso il creditore può rivalersi sul patrimonio personale del socio-fideiussore, come ribadito dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7139 del 2018.
  • potere di amministrazione svincolato dalla qualità di socio: il socio può solo esercitare funzioni di controllo e di partecipazione ad utili e perdite e contribuire, con il suo voto proporzionale alle azioni/quote possedute, a scegliere gli amministratori.

 

La Società per azioni

La Società per azioni è il prototipo delle società di capitali e costituisce il principale modello di società commerciale più idonea ai grandi investimenti.

Il capitale è frazionato in azioni, che rappresentano unità dello stesso e tutti i soci sono responsabili limitatamente a ciò che hanno conferito. La società, infatti, fa fronte alle spese e ai debiti solo con il proprio patrimonio, ossia con il proprio capitale ed in generale con le proprie risorse economiche, per cui i soci non sono tenuti a pagare i debiti con i propri beni personali.

In caso di difficoltà economiche e quindi di “insolvenza”, la società può fallire, ma i soci non falliscono e perdono solo il valore delle proprie azioni.

All’interno della Società per azioni coesistono tre organi: l’assemblea degli azionisti; l’organo di amministrazione, che gestisce e rappresenta la società e normalmente è rappresentato da un amministratore unico o un consiglio di amministrazione; infine vi è un collegio sindacale, che verifica che l’organizzazione, l’amministrazione e l’assetto contabile della società siano adeguati ed esercita anche il controllo contabile.

L’amministrazione è ben separata dai titolari delle quote di capitale. Generalmente gli amministratori, soprattutto nelle S.p.a. di grandi dimensioni, sono soggetti diversi rispetto agli azionisti ed è necessaria la presenza di un organo di controllo, generalmente il collegio sindacale.

 

La Società a responsabilità limitata

La Società a responsabilità limitata: anche in questo caso i soci sono limitatamente responsabili.

Non ci sono azioni ma il capitale è frazionato in quote: una quota per ogni socio.

Generalmente gli amministratori sono anche i soci. Si presta per enti che, pur operando con capitali ingenti, hanno una ristretta compagine sociale. Generalmente i soci non superano la decina ed ai soci possono nello statuto essere riconosciuti particolari diritti amministrativi e non amministrativi. Il legislatore ha da pochi anni introdotto la possibilità di adottarne una forma semplificata: la società a responsabilità limitata semplificata.

 

La Società in accomandita per azioni

La Società in accomandita per azioni: ricalca quasi integralmente la disciplina della S.p.a.

La differenza fondamentale consiste nella presenza di soci accomandatari. Come nella società in accomandita semplice, anche in questo caso gli accomandatari rispondono solidamente ed integralmente delle obbligazioni sociali (articolo 2452 del codice civile).

 

Differenza fra società di persone e società di capitali

Assodato quanto detto in precedenza possiamo ora sintetizzare per sommi capi la differenza fra le due tipologie di società: di perone e di capitali.

Le società di persone sono caratterizzate in primo luogo dalla responsabilità patrimoniale illimitata per i soci, fatte salve le precisazioni e le eccezioni già esposte. Si parla anche di “autonomia patrimoniale imperfetta”, nel senso che la stessa non è completa. Hanno inoltre una compagine sociale “statica” nel senso che ogni modifica relativa alle partecipazioni ed ai soci deve essere approvata all’unanimità. Fatte salve deroghe del contratto sociale l’amministrazione spetta ai soci.

Le società di capitali viceversa, sono caratterizzate per limitare la responsabilità dei propri soci a quanto conferito. Hanno infatti autonomia patrimoniale perfetta. La compagine sociale è dinamica e può essere più numerosa e variegata di quella delle società di persone: i soci possono modificare l’assetto societario in qualsiasi momento e in maniera piuttosto veloce in base ai mutamenti e alle esigenze della realtà economica. Nella S.p.a. in particolare, la circolazione delle azioni è particolarmente agevole e semplice. Si tratta di enti corporativi in cui sono ben delineati i ruoli di amministratori, soci e, ove previsti, organi di controllo (ad esempio il collegio sindacale nelle S.p.a.).

Le società di persone sono definite tali in quanto in esse prevale l’elemento soggettivo, rappresentato dai soci, rispetto al capitale.

Una società di persone è l’unione della forza di più persone, i soci fondatori, che vogliono raggiungere un obiettivo comune, quasi sempre corrispondente al lucro.

Caratteristico per questo tipo di società è la stretta relazione dei soci tra di loro. Il motivo è che, nella maggior parte dei casi e in base alla forma giuridica i soci si fanno carico di responsabilità illimitata con il proprio patrimonio personale. Questa è la principale differenza rispetto alle società di capitale.

Le società di persone hanno capacità giuridica, il che significa che sono in grado di avere proprietà e che possono essere chiamate a comparire davanti a un giudice. Tuttavia, diversamente dalle società di capitali, non posseggono personalità giuridica. In parole semplici questo significa che la singola società di persone, da un punto di vista legale, non esiste come entità separata dai suoi soci. Come la denominazione stessa precisa, al centro di tale società vi sono infatti le persone e per questo motivo persone e società non sono mai totalmente separate le une dalle altre. Questo significa che se l’attività va male, il socio che ha una casa intestata rischia di perderla. Ovviamente non si tratta solo della casa, ma anche del conto corrente, della pensione, ecc. E se il socio è in comunione dei beni con il coniuge, i creditori potranno pignorare anche il 50% dei beni di quest’ultimo.

 

I tipi di società di persone.

I tipi di società di persone sono tre:

Società semplice

Società in nome collettivo  

Società in accomandita semplice.

Vediamo, in sintesi, le principali caratteristiche di ciascuna di esse.

 

La società semplice.

La società semplice (s.s.) è la forma più basilare che ci sia tra le società di persone. Dal punto di vista economico, non costituisce un tipo societario particolarmente rilevante, poiché è finalizzata ad un’attività economica non commerciale (ad esempio, agricola, professionale in forma associata, gestione di proprietà mobiliare o immobiliare) mentre, dal punto di vista giuridico, la sua disciplina, che è dettata dagli articoli 2251 – 2290 del Codice civile, si applica anche agli altri tipi di società personali, salvo quanto espressamente disposto dalla normativa specifica (art. 2293 c.c. e 2315 c.c.).

In forza della disposizione contenuta dall’art. 2249 c.c., secondo comma, quello della società semplice è il regime residuale per l’attività societaria non commerciale, a cui si fa riferimento nel caso i contraenti non abbiano deciso di adottare un diverso tipo sociale.

Non è soggetta al fallimento in quanto non può esercitare attività commerciale, requisito richiesto dall’articolo 1, comma 1 della legge fallimentare italiana.

La società semplice è contraddistinta da un’autonomia patrimoniale imperfetta: i creditori possono far valere i propri crediti nei confronti della società e nei confronti dei soci che hanno agito in nome e per conto della società. Salvo patto contrario, rispondono anche tutti gli altri soci (art. 2267 c.c.). I soci, però, nel momento in cui viene loro richiesto il pagamento, possono chiedere ai creditori la preventiva escussione del patrimonio sociale indicando i beni sui quali i creditori possano facilmente soddisfarsi. Tuttavia non esiste un vincolo da parte dei creditori, per cui essi possono anche direttamente aggredire il patrimonio del singolo socio, cosa che nelle società a nome collettivo e nelle società ad accomandita semplice non è possibile.

Il socio nuovo entrante risponde anche per le Obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della qualità del socio (art. 2269 c.c.).

 

La Società in nome collettivo.

La Società in nome collettivo (s.n.c.) è invece la forma più basilare per l’esercizio di un’attività di carattere commerciale.  E’ un tipo di società di persone disciplinato dagli artt. 2291-2312 del codice civile ed agisce sotto una ragione sociale (nome e tipo di società), costituita dal nome di uno o più soci con l’indicazione del rapporto sociale. Può esercitare sia attività commerciali che attività non commerciali ma il reddito prodotto è comunque da considerarsi reddito d’impresa.

Anche qui siamo in presenza di un’autonomia patrimoniale imperfetta, in quanto i soci hanno responsabilità illimitata e solidale per le obbligazioni sociali, (art. 2291 c.c.) ma i soci sono protetti dal “beneficio di escussione preventiva” previsto dall’art. 2268 c.c., in virtù del quale il creditore sociale, prima di aggredire il patrimonio del socio, deve escutere il patrimonio sociale. Diversamente da una S.S., non è prevista la possibilità di escludere uno o più soci dalle loro responsabilità personali e nel caso in cui sia stato stabilito un patto contrario, volto a sollevare un socio dal pagamento di un debito, questo non ha effetto nei confronti dei terzi.

In ogni caso, i creditori particolari del socio, finché dura la società, non possono chiedere la liquidazione della quota del socio debitore (art.2305 c.c.).
Le società in nome collettivo possono essere soggette a fallimento (fallimento che riguarda tutti i soci). Per la società in nome collettivo è previsto che, salvo deroga, nessun socio può svolgere, per proprio conto o altrui, un’attività concorrente con quella della società di cui fa parte, né può partecipare in qualità di socio illimitatamente responsabile ad un’altra società concorrente. L’attività in concorrenza potrà essere svolta, quindi, solo se c’è il consenso degli altri soci.

 

La società in accomandita semplice

La società in accomandita semplice ( S.a.s.) può esercitare sia attività commerciale sia non commerciale e si distingue perché al suo interno esistono due diverse tipologie di soci: gli accomandatari e gli accomandanti. Essa è disciplinata dagli articoli 2313-2324 del codice civile, sul modello della società in nome collettivo, con gli adattamenti resi necessari dalla presenza delle due categorie di soci.

L’accomandante al momento della costituzione della società mette a disposizione una quota di partecipazione direttamente dal proprio patrimonio personale. La legge non stabilisce a quanto debba corrispondere l’ammontare della quota in denaro, che si può decidere di comune accordo con gli altri soci. In caso di insolvenza, l’accomandante risponde solamente nei limiti della propria quota di partecipazione, così che il proprio patrimonio personale non venga messo a rischio, dunque ha una responsabilità giuridica limitata. E’ tuttavia fondamentale che dalla costituzione al momento dell’avvenuta insolvenza abbia realmente versato la quota di partecipazione stabilita (che si può corrispondere sia in denaro che in beni di altra natura). Anche nella fase di liquidazione i soci accomandanti conservano la limitazione della responsabilità per le obbligazioni sociali; i creditori che non sono stati soddisfatti nella liquidazione della società possono far valere i loro diritti nei confronti degli accomandanti limitatamente alla quota di liquidazione da loro percepita.

Le S.a.s. rappresentano quindi un’eccezione dal momento che normalmente, nelle società di persone, i soci rispondono tutti illimitatamente con il proprio patrimonio personale per gli eventuali debiti contratti e non nei limiti della propria quota di partecipazione.

Chiaramente la posizione di accomandante fornisce il diritto di indicare la via e controllare l’operato degli accomandatari, nonché controllare il bilancio tra profitti e perdite, e l’esattezza dei conti tramite la consultazione dei documenti della società, tuttavia i soci accomandanti, a fronte di questa limitazione di responsabilità, non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari, pena l’assunzione di responsabilità solidale ed illimitata ed il rischio di essere escluso dalla società (divieto di immistione).

Al fianco degli accomandanti è prevista un’altra tipologia di soci, ovvero gli accomandatari, che hanno responsabilità illimitata rispetto ai creditori, ossia rispondono con il patrimonio aziendale e in casi limite con il proprio patrimonio personale. Gli accomandatari si fanno perciò carico di un rischio maggiore al momento della costituzione della S.a.s., avendo il diritto e il dovere di amministrare da soli l’impresa. Gli accomandatari sono infatti i rappresentanti interni ed esterni della società.

 

Le diverse tipologie di organizzazione giuridica delle imprese previste dal codice civile e la Ditta Individuale

In altro articolo di questo blog abbiamo parlato di auotonomia patrimononiale perfetta ed imperfetta.

Per poter meglio comprendere in quale delle due situazioni ci troviamo, ossia se abbiamo a che fare con un soggetto giuridico dall’autonomia patrimoniale perfetta o imperfetta, è indispensabile avere un’idea chiara delle diverse tipologie di impresa previste dal Codice Civile.

Il nostro codice, infatti, prevede differenti forme giuridiche con le quali svolgere la nostra attività d’impresa, e sono le seguenti:

  • ditta individuale
  • società di persone:

– società semplice
– società in nome collettivo
– società in accomandita semplice

  • società di capitali:
    – società a responsabilità limitata
    – società a responsabilità limitata semplificata
    – società per azioni
    – società in accomandita per azioni.

 

La ditta individuale

La ditta individuale è quel tipo di impresa che fa riferimento a un solo titolare, l’imprenditore. Essendo lui l’unico “responsabile” di tutto il processo imprenditoriale, il rischio d’impresa ricade solo su di lui. Questo significa che l’intero patrimonio dell’imprenditore individuale è soggetto al rischio d’impresa. In caso di insolvenza dei debiti della ditta individuale, egli risponde nei confronti dei terzi con tutti i suoi beni, anche personali, presenti e futuri. La ditta individuale può configurarsi anche come impresa familiare o azienda coniugale.

 

Continua l’approfondimento del tema. Leggi anche questi articoli relativi all’autonomia patrimoniale ed alle altre forme societarie

Se hai un’azienda e vuoi sapere come tutelare il tuo patrimonio personale  – tenendolo totalmente separato da quello della tua impresa e quindi  completamente al riparo rispetto a eventuali disavventure aziendali –  oppure sei un creditore e vuoi capire se puoi soddisfarti anche sui beni personali, oltre che aziendali, del tuo debitore, devi assolutamente conoscere un concetto giuridico fondamentale che è quello di autonomia patrimoniale.

Per capire il concetto di Autonoma patrimoniale partiamo da un domanda: “Chi paga i debiti della società? solo la società con il suo patrimonio oppure anche i soci con il loro patrimonio personale?”

La risposta a questa domanda è:   “dipende dal grado di autonomia patrimoniale del tipo di società prescelto per svolgere l’impresa!”

Ancor prima di spiegare cos’è l’autonomia patrimoniale occorre però introdurre il concetto di patrimonio e successivamebte quello di autonomia patrimoniale.

Il patrimonio è l’insieme dei diritti ed obblighi, aventi natura economica, che fanno capo ad una persona fisica o giuridica.

I beni che costituiscono il patrimonio di un soggetto servono da garanzia per i suoi debiti, nel senso che il creditore, in caso di mancato pagamento, o – come si dice in gergo tecnico – in caso di inadempimento, può, attraverso una vendita forzata dei beni del debitore cioè mediante le aste giudiziarie, ottenere il soddisfacimento del suo diritto con le somme ricavate dalla vendita: è la cosiddetta  funzione di garanzia generale svolta dal patrimonio del debitore.

L’art. 2740 del codice civile stabilisce infatti che “Il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri”.

Occorre quindi analizzare il secondo concetto chiave: quello dell’autonomia patrimoniale, ovvero l’indipendenza del patrimonio di una persona giuridica, detto patrimonio autonomo, rispetto a quello dei suoi componenti.

L’autonomia patrimoniale è il grado di separazione  tra il patrimonio di una persona e quello di un altro soggetto giuridico ad esempio una società.

Può essere perfetta imperfetta.

L’autonomia patrimoniale è PERFETTA quando il patrimonio della società è totalmente separato ed autonomo rispetto a quello dei soci. In questo caso dei debiti societari risponde solo la sua società con il suo patrimonio.

L’autonomia patrimoniale è invece IMPERFETTA quando non c’è questa netta separazione dei due patrimoni e quindi i soci possono essere chiamati a rispondere dei debiti della società anche con il loro patrimonio personale quando quello della società è insufficiente.

Ad esempio, l’autonomia patrimoniale delle società di persone è imperfetta, quindi per i debiti sociali possono essere chiamati a rispondere anche gli stessi soci (o alcuni di essi, secondo il tipo di società).

Diversamente le società di capitali possiedono un’autonomia patrimoniale perfetta, in quanto dei debiti sociali risponde solo ed esclusivamente la società con il suo patrimonio.

Come avrai certamente capito dunque, scegliere il tipo di società più giusto per esercitare la tua impresa ti può consentire di mettere al riparo il tuo patrimonio personale attraverso l’autonomia patrimoniale perfetta del tipo di società prescelto.

Lo stesso concetto ti potrà certamente essere utile nel rapporto con i tuoi clienti debitori, consapevole del fatto che far credito a certi tipi di società senza avere alcuna garanzia può essere un rischio quando non puoi rivalerti sul patrimonio personale dei soci.

Le associazioni sportive dilettantistiche non riconosciute sono associazioni aventi ad oggetto la gestione di una o più attività sportive e sono prive di riconoscimento.

 

Nel corso della sua esistenza l’associazione sportiva pone in essere innumerevoli rapporti con i terzi che danno vita ad obbligazioni di varia natura.

 

La domanda a cui occorre rispondere è di chi è la responsabilità di tali obbligazioni e su chi ricadano le conseguenze in caso di inadempienza o risvolti negativi.

 

Sussistendo un’autonomia patrimoniale imperfetta, infatti, alcuni soggetti, a vario titolo legati alle associazioni a potrebbero essere tenuti a rispondere personalmente, ovvero con il proprio patrimonio personale, delle inadempienze dell’ente.

 

Questo non accade, invece, nel caso di associazioni riconosciute o per le società sportive le quali, godendo di autonomia patrimoniale perfetta, hanno per conseguenza che le responsabilità sono limitate al patrimonio sociale e, quindi, non si pone il problema di una responsabilità personale dei rappresentanti delle stesse.

 

Orbene, in ordine alla responsabilità in ambito di associazioni sportive dilettantistiche non riconosciute bisogna fare riferimento all’art. 38 c.c., che prevede, in caso di che: “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente [1292 ss.] le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione” >> .

 

Questa forma di responsabilità solidale e personale degli associati che concretamente svolgono attività negoziale per conto dell’associazione, risponde ad un’esigenza di tutela dei terzi/creditori che entrano in contatto con l’associazione stessa: infatti, la mancanza di ogni forma di controllo e di pubblicità impedisce agli stessi di verificarne l’effettiva consistenza patrimoniale.

 

Invero, << (…) la ratio della previsione di una responsabilità personale e solidale, in aggiunta a quella del fondo comune, delle persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione, è volta a contemperare proprio l’assenza di un sistema di pubblicità legale riguardante il patrimonio dell’ente, con le esigenze di tutela dei creditori che abbiano fatto affidamento sulla solvibilità e sul patrimonio di dette persone (…) >> (Corte di Cassazione, Ordinanza n. 12473/2015).

 

Conseguentemente, i terzi che abbiano subito un qualunque tipo di danno quale conseguenza diretta dell’inadempimento dell’associazione, potranno soddisfare le proprie pretese rivolgendosi sia al patrimonio dell’associazione, che alle “persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione”, i quali rispondono in via personale ed illimitata col proprio patrimonio.

 

La responsabilità di chi ha agito per l’associazione ha carattere di accessorietà e concorre con quella dell’ente. Ne consegue che sussiste solo se sussiste la responsabilità dell’associazione stessa.

 

Si dice che la responsabilità personale e solidale di chi abbia agito in nome e per conto dell’ente costituisca nongià un debito proprio bensì una forma di fideiussione ex lege disposta a tutela dei terzi che possono ignorare la consistenza economica del fondo comune e fare affidamento sulla solvibilità di chi ha negoziato con loro.

 

E’ fondamentale chiarire se l’art. 38 c.c. faccia riferimento esclusivamente al Presidente o al legale rappresentante o anche agli altri protagonisti della vita associativa.

 

In proposito occorre preliminarmente evidenziare che i rappresentanti operano sulla base di un rapporto di “immedesimazione organica” che li lega all’associazione in modo tale che ogni atto da loro compiuto in nome e per conto dell’associazione venga ad essa immediatamente imputato. La Corte di Cassazione, infatti, ha avuto modo di approfondire proprio il tema della responsabilità personale degli amministratori prevista dall’art. 38 del codice civile e, di fatto, ha assolutamente negato l’automatismo della responsabilità del presidente e del rappresentante legale.

 

È pacifico, infatti, che soggetti diversi dal presidente, possano svolgere in virtù di mandato o di altro rapporto interno (verbali direttivo, procura, delega, dipendente ecc.) attività riferibile all’associazione e quindi contrarre obbligazioni di cui sia chiamato a rispondere il mandante (Presidente) e attraverso costoro l’associazione stessa in base al disposto dell’art. 38 c.c, I co..

 

Invero, in ordine al tema d’indagine correlato alla responsabilità del soggetto che ha agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta, si è ormai stratificata una giurisprudenza della Cassazione la quale ha chiarito che la responsabilità personale e solidale, prevista dall’art. 38 c.c., di colui che ha agito in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta non è collegata alla mera titolarità della rappresentanza dell’associazione stessa, bensì all’attività negoziale concretamente svolta per suo conto e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra l’ente ed i terzi.

 

Le responsabilità per le operazioni compiute per conto dell’associazione sono attribuite solo verso coloro che in concreto abbiano agito in nome di essa.

 

Si deduce, quindi, che la responsabilità del presidente non derivi in via automatica dalla sua carica e non sussista laddove le obbligazioni siano state contratte da altri soggetti che abbiano agito in via autonoma.[1]

 

[1] C. De Stefanis, A. Quercia, Associazioni sportive dilettantistiche e Società sportive, Guida pratica e formulario, Maggioli Editore, edizione IX, 2019

Prima di spiegare cosa sono le associazioni è utile chiarire e spiegare che cosa si intende per autonomia patrimoniale, concetto che in tema di associazioni risulta di fondamentale importanza soprattutto in ordine alla responsabilità.

 

L’autonomia patrimoniale

Le norme stabiliscono un certo grado di separazione, in campo sia economico sia giuridico, tra l’organizzazione e le persone che la rappresentano.

Tale separazione é data dall’autonomia patrimoniale, che puo’ essere PERFETTA o IMPERFETTA.

Si parla di autonomia patrimoniale perfetta quando fra il patrimonio dell’organizzazione e quello delle persone fisiche che ne fanno parte, la amministrano, la rappresentano, vi é completa separazione.

 

Questo significa, per esempio, che i membri dell’organizzazione non risponderanno in proprio per i debiti da essa contratti, ma a rispondere sarà l’organizzazione stessa.

In caso contrario si parla di autonomia patrimoniale imperfetta.

 

 

Cosa sono le associazioni

Le associazioni sono enti costituiti da più persone per il raggiungimento di scopi non lucrativi.

 

I documenti con i quali si da vita al contratto di associazione sono:

1) l’atto costitutivo che ha proprio la funzione di dar vita alla persona giuridica;

 

2) lo statuto, che è complementare al primo ed ha lo scopo di regolarne l’ordinamento, l’amministrazione e il funzionamento. Sono separati nella funzione ma sono, nella loro materialità, un atto unitario.

 

Si distinguono in due grandi categorie:

1. Associazioni riconosciute, disciplinate dagli artt. da 14 a 35 c.c.

La caratteristica principale di questo tipo di associazioni è il possesso di personalità giuridica, che la rende un soggetto giuridico a sé stante, diverso ed autonomo rispetto agli associati.

 

Gode di autonomia patrimoniale perfetta e, quindi, è un centro di imputazione di diritti e obblighi totalmente distinto dagli associati e ha anche piena autonomia patrimoniale. Questo vuol dire che i creditori dell’associazione possono rivalersi solo sul patrimonio di quest’ultima, senza intaccare il patrimonio del presidente o dei membri del consiglio direttivo.

 

Queste Associazioni, infatti, ottengono, con il riconoscimento, la possibilità di avere la capacità di agire in proprio e quindi di acquisire autonomia patrimoniale pertanto, nel caso in cui l’Associazione abbia contratto obbligazioni, la stessa risponderà esclusivamente con il proprio patrimonio.

 

Gli associati risponderanno, quindi, delle sole obbligazioni dell’ente nei limiti della quota associativa versata e degli ulteriori contributi elargiti e non potranno essere richiesti del pagamento dei debiti contratti dall’associazione dai creditori di quest’ultima

 

Per ottenere il riconoscimento occorre che:

 

– l’atto costitutivo abbia forma di atto pubblico;

abbia un patrimonio sufficiente al raggiungimento dello scopo;

sia stata fatta istanza alla Prefettura.

 

2. Associazioni non riconosciute, sono regolate dagli artt. 36 e segg. c.c. e sono associazioni che non hanno chiesto il riconoscimento o che non lo hanno ottenuto.

 

L’atto da cui nascono gli enti non riconosciuti è un contratto (atto costitutivo), definito “plurilaterale con comunione di scopo”, mediante cui altri associati possono accedere anche in un momento successivo alla costituzione dello stesso.

 

La costituzione di tale associazione non prevede particolari oneri di forma.

 

L’atto costitutivo, quindi, potrebbe essere valido anche se fatto con semplice scrittura privata o addirittura oralmente, tuttavia, ogni qualvolta vengano apportati all’associazione beni immobili in proprietà o in godimento ultranovennale o a tempo indeterminato (art. c.c. nn. 1 e 9) è indispensabile la forma scritta.

 

E’ tuttavia consigliabile l’uso della forma scritta onde evitare possibili problemi se dovessero sussistere contestazioni riguardanti il contenuto dell’accordo. Anche se la legge non lo richiede, la soluzione ancora più tranquillizzante consiste nel farlo per atto notarile, garante per l’autenticità delle firme e per la data delle sottoscrizioni.

Gli elementi su cui devono obbligatoriamente accordare le parti che mirano a costituire un’associazione priva di riconoscimento sono soltanto i seguenti:

lo scopo;

le condizioni per l’ammissione degli associati;

le regole sull’ordinamento interno e l’amministrazione;

la denominazione;

le sede;

il patrimonio.

 

Le Associazioni non riconosciute hanno autonomia patrimoniale imperfetta, ne consegue che rispondono delle obbligazioni contratte sia con il proprio patrimonio (definito, non a caso, fondo comune), sia con i beni personali degli amministratori e di chi abbia agito in nome e per conto dell’Associazione.

 

Il fondo comune è costituito dai contributi degli associati, dai beni acquistati mediante tali contributi e da tutti gli altri beni pervenuti all’associazione. Il fondo comune non può essere diviso sino a quando l’ente è in vita. Finché dura l’associazione, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo comune e, ove recedano o siano esclusi, non possono chiedere la restituzione della quota associativa e dei contributi versati.

 

Ecco cosa succede se l’autovettura coinvolta in un sinistro stradale riporta danni per un costo superiore al proprio valore.

Esistono principalmente due forme di risarcimento: il risarcimento per equivalente e quello in forma specifica.

Prendendo in considerazione i danni all’autovettura che vengono causati in seguito ad un sinistro, possiamo dire che la prima forma di risarcimento – quello per equivalente – consiste nell’attribuzione di una somma di denaro pari al valore del danno subito dall’autovettura, mentre il secondo è diretto al conseguimento della stessa identica prestazione dovuta, dunque l’oggetto della pretesa non è costituito da una somma di danaro ma dalla riparazione dell’autovettura in questione.

Quest’ultima forma di risarcimento, di regola, è più dispendiosa per il debitore perciò l’art. 2058 c.c. consente al giudice di disporre che il risarcimento avvenga solo per equivalente, laddove la reintegrazione in forma specifica risultasse eccessivamente onerosa.

In linea generale, quando la riparazione è antieconomica – ossia i costi di ripristino superano il valore del veicolo – le assicurazioni tendono ad effettuare il risarcimento del danno nel limite del valore che aveva il veicolo prima del sinistro.

 

Vale infatti il principio per cui è ingiusto trarre profitto dall’altrui fatto illecito.

In virtù di tale principio, il danneggiato che ha subito un danno superiore al valore del veicolo, non può richiedere l’integrale rimborso delle spese di riparazione.

Tuttavia, in campo giurisprudenziale, si sono fatti notevoli passi avanti a tutela dei danneggiati. Il proprietario del veicolo danneggiato infatti, al fine di ottenere un risarcimento superiore al valore commerciale, può fornire la prova che l’autovettura era in buono stato di conservazione e agibilità tale da giustificare l’elevato costo della rimessa in pristino (Giudice di Pace di Bari n. 5191/2009).

Tale prova potrà essere fornita attraverso fatture di revisione, tagliandi, fotografie e dati specifici quali ad esempio il contenuto chilometraggio del veicolo.

Va detto che la differenza fra il costo delle riparazioni e il valore del veicolo deve essere notevole al fine di giustificare il mancato risarcimento in forma specifica giacché anche solo una minima differenza fra questi due valori non giustifica la reintegrazione per equivalente.

La Cassazione in tal senso si è espressa rilevando che “in caso di domanda di risarcimento del danno subito da un veicolo a seguito di incidente stradale, costituita dalla somma di denaro necessaria per effettuare la riparazione dei danni, se detta somma supera notevolmente il valore di mercato dell’auto, da una parte essa risulta eccessivamente onerosa per il debitore danneggiante e dall’altra finisce per costituire una lucupletazione (arricchimento) per il danneggiato” (Cass. civ. sez. VI, n. 24718 del 04.11.13).

Ne consegue che il giudice potrà condannare il danneggiato al risarcimento per equivalente solo se si configurasse un arricchimento per il danneggiato e non in qualunque caso.

 

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